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Pochi forse sanno che anche Vigevano e i suoi dintorni sono in qualche modo legati a quella porzione di mondo che sembra non trovare mai il suo equilibrio: la Palestina.

Narra la storia che intorno alla metà del quattrocento una comunità ebraica errante ottenne da Ludovico il Moro il permesso e le terre dove insediarsi ed allevare le oche, cibo quasi quotidiano per la conformità delle sue carni ai dettami delle ristrettive regole alimentari che ancor oggi governano le scelte degli ebrei più osservanti.

Chiesto quindi ed ottenuto quanto, si stabilirono nei pressi di Mortasa e l’oca entrò a far parte delle tradizioni alimentari della lomellina, anche perché a quanto pare piacque parecchio agli indigeni che intrapresero a loro volta l’allevamento della stessa.

Così il salame che gli ebrei producevano attenendosi negli ingredienti a quanto stabilito dalla loro religione, nelle mani dei lomellini si trasforma in un salume che prevede l’aggiunta di carne di maiale oltre che di carne d’oca, forse anche perché le oche non abbondano e anche ai giorni nostri la richiesta è superiore all’offerta e ci fa dubitare della provenienza della materia prima.

Del salume originariamente prodotto conserva nella sua forma tradizionale l’insaccamento, viene cioè prodotto utilizzando la pelle del collo del volatile dalla quale si ottiene un salametto di dimensioni modeste e di forma trapezoidale. E’ ora in corso un tentativo di recuperare la ricetta e il know how del vero salame ecumenico operata da un appassionato cultore dell’oca e delle sue prelibatezze per mezzo del giovane, appassionato nonché abile figliolo con il tramite di un mitico artigiano depositario del segreto che lo ha eletto suo delfino per la passione dimostrata nel lavorare l’oca e la collaborazione di un tempio dell’enogastronomia milanese. Il tempo e il palato ci diranno se l’operazione riuscirà.

Oca non vuol dire soltanto però salame, ma tutta una serie di preparazioni gastronomiche dalle più rustiche alle più raffinate che figurano degnamente sulle tavole lomelline e che a mio modesto parere sono ottimamente rappresentate dalla cucina di Edi della ormai mitica Trattoria Guallina.

Andiamo dal bottaggio d’oca anche nella sua versione economica (il cosiddetto ragò à pedal, cucinato con verze piedi e ali dell’amabile volatile), all’oca arrosto ripiena con le mele in vero stile ebraico, al solo petto cucinato su di un letto di patate o di cipolle (ben cucinato diremmo: anche se imparentata con la carne d’anatra la carne d’oca deve essere sempre ben cotta), al mitico fegato grasso cotto nel torcione o in terrina con accompagnamento di pan brioche tostato e di confettura di cipolle rosse o di fichi caramellati, a tutti i prodotti che accompagnano il salame d’oca come il cotechino d’oca, il fegatello, il petto o la coscia trattati come prosciutti crudi in miniatura o piacevolmente affumicati come micro speck da gustare in carpaccio sempre accompagnati da elementi agrodolci che ben sposano le carni sapide e grasse del nostro volatile simbolo.

Non dimentichiamo che l’oca era ed è apprezzata anche come fornitrice di grasso da condimento e di ciccioli e che anche i nostri cugini francesi producono confit d’oca con i pezzi ben arrostiti conservati in latte avvolti nel loro grasso alla moda dei nostri salami lomellini.